Finalmente è giunta l’ora di discutere del Dji Ronin S, il gimbal che ha fatto scuola, il riferimento per un intero segmento del mercato.
Non sarà un recensione, bensì una discussione: ad un paio d’anni dalla sua uscita sul mercato, questo strumento è stato ormai sviscerato in ogni sua parte da tutta la stampa specializzata e non solo; non ha senso dilungarsi in spiegazioni tecniche e non è questo l’obiettivo di questo articolo.
Quello che faremo, invece, è andarci a soffermare sulla pratica, sull’esperienza d’uso di questo gimbal per dare una mano a definirne pregi e difetti. Perché, sì, è uno strumento di valore e di fattura encomiabili ma, altrettanto sì, ha una serie di problematiche.
Siamo ormai giunti alla fine della vita operativa del Ronin S e non c’è momento migliore per chiedersi quale sia il retaggio di questo stabilizzatore e quale sia il suo valore attuale all’interno del mercato. Direi di cominciare.
Il Ronin S è stato per un periodo sinonimo di gimbal, tanto che in alcuni casi nemmeno di gimbal si parlava ma direttamente di “Ronin”.
Sarebbe stupido non sottolineare i meriti commerciali di questo stabilizzatore perché sono evidenti e sotto gli occhi di tutti: è stato il primo stabilizzatore elettronico abbordabile e mainstream, quello che ha sdoganato il design verticale e quello che ha reso il possesso di un gimbal uno status quo. Tutto questo non è poco, non mi vengono in mente molti altri strumenti che abbiano avuto un tale impatto sul mercato e una tale notorietà in un dato settore.
Di fatto, possiamo dire che il Ronin abbia piazzato l’asticella e abbia fatto scuola e, pur quando i suoi difetti sono stati messi in evidenza dalla concorrenza, ha saputo dimostrare un pellaccia coriacea che lo ha reso un fan favourite. Non a caso, per quanto Zhiyun, Moza e Manfrotto abbiano preso spunto dal Ronin S, nessuno dei competitor è mai riuscito a scalzarlo dal suo trono di re degli stabilizzatori.
Tre sono gli aspetti che personalmente ritengo necessari per parlare di uno stabilizzatore: design, praticità e utilizzo. Direi di partire dal design.
Il Ronin S non è uno strumento leggero e questa è la prima cosa che va evidenziata. Certo, non stiamo parlando di una steadycam ma nemmeno di un fuscello. Il peso è giustificato dalla mastodontica batteria che praticamente costituisce l’intero grip. Tale batteria però si va ampiamente valere, data l’astronomica autonomia di più di 11 ore che garantisce; cosa che, realisticamente, significa che vi stancherete prima voi di portarlo in giro che non il contrario ed è un bene.
Alla base del grip può trovare posto un treppiede, utilissimo per poggiare sulle superfici piane il gimbal e per fornire una presa extra all’utilizzatore.
Infine, in posizione superiore al resto, il sistema di controllo, con 2 pulsanti fisici, 3 led, un grande tasto frontale e un piccolo joystick. Il tutto sormontato dal sistema di 3 motori e 3 bracci che costituisce il cuore pulsante dello stabilizzatore.
Il design è piacevole, i materiali costruttivi buoni e, in generale, si avverte un buon senso di solidità.
Tuttavia, questa eleganza è sporcata da una grande pecca di questo strumento, forse il suo più grande difetto: i motori non hanno un sistema di lock-on. Ciò significa che, quando non messi in moto, non c’è modo di bloccare i motori. Il che significa che la vostra attrezzatura montata sopra al Ronin inizierà a ballare una vorticosa tarantella della morte durante i trasporti a motori spenti. La cosa è stata risolta dai modelli successivi e da quelli della concorrenza e rimane uno degli aspetti più scomodi e poco pratici di questo strumento.
Altro dettaglio non trascurabile è la mancanza di un vero e proprio sistema di quick release della piastra Manfrotto che fa da base d’appoggio per la videocamera, il che significa doversi ricordare il posizionamento della suddetta piastra per non rischiare di compromettere il bilanciamento ogni volta che si vuole togliere la camera dallo stabilizzatore per girare inquadrature a mano libera o per cambiare batteria. Anche in questo caso, questo difetto è stato corretto dalle versioni successive (Ronin S2 e RSC2, ndr).
La capacità di carico di ben 3,6 kg è piuttosto notevole ed è in grado di reggere set up anche piuttosto pesanti. Ma ciò non significa che bilanciare e regolare il Ronin S sia facile.
È un’operazione che richiede pratica e pazienza e che, seppur noiosa, è fondamentale. Ovviamente, il fatto che i motori si muovano in modo convulso durante l’operazione non aiuta. In linea generale, bisogna regolare prima il motore che regola il tilt, poi quello del roll ed infine quello del pan e questa serie di operazioni va ripetuta per ogni volta che si vuole apportare una modifica al set up. Morale della favola, siate sicuri di quale lente volete usare attaccata alla vostra camera: la versatilità è tutto, altrimenti tempo prezioso per le riprese potrebbe essere perso solo per poter bilanciare ancora e ancora il vostro stabilizzatore.
Infine le dimensioni generose del Ronin S non lo rendono la cosa più semplice da trasportare, soprattutto in set itineranti che richiedono lo spostamento in più location.
Veniamo, in ultimo, all’utilizzo. E qui ci divertiamo.
Il più grande errore che si possa fare con questo gimbal, e con tutti i giunti cardanici in generale, è considerarli giocattoli, generalizzandone inoltre l’utilizzo senza una reale ragione. Entrambi fenomeni comportamenti solo spiegabili logicamente e devono essere demistificati assolutamente.
Primo: i gimbal non sono giocattoli, anche se la narrazione compiuta dai brand, dai PR e dagli influencer di tecnologia pare voler sdoganare l’idea che tutti ne abbiano bisogno e che tutti debbano averne uno. Purtroppo il mercato è il mercato e uno dei modi migliori per vendere è andare ad intercettare quella fetta di pubblico piuttosto abbiente che, pur non avendo necessità, compra lo strumento solo per potersi fregiare dell’acquisto dell’ultimo ninnolo tecnologico.
Secondo: i gimbal non sono indispensabili. Corollario: usare un gimbal non rende automaticamente i propri video migliori. Questa potrebbe sembrare un’ovvietà ma non la è. Troppo spesso ho visto strumenti come questo usati estensivamente e senza una vera ragione solo per dire di averli usati. Un gimbal usato male, esattamente come ogni strumento utilizzato male, rovina le riprese e non esiste nessun tipo di attrezzatura il cui solo utilizzo migliora sensibilmente la qualità di una produzione, sia che si tratti di camere che di luci che di lenti che di registratori esterni. Dal mio punto di vista, anche in questo caso, la colpa è della narrazione che i social fanno del videomaker, soprattutto del street videographer, uno stereotipo deleterio perché fotografa una realtà troppo parziale del mondo del videomaking.
Parliamoci chiaro, non esiste un modo giusto per usare un gimbal: lo strumento si piega alla volontà e alla necessità del suo utilizzatore. Ma siccome si tratta di uno stabilizzatore, il suo meglio lo dà, manco a dirlo, quando può stabilizzare.
La mia esperienza personale con il Ronin S, che utilizzo ormai da due anni, mi ha portato a sapere con una certa dose di affidabilità quando potrà essermi utile e quando invece non verrà mai acceso e, personalmente, mi piace metterlo in difficoltà e giustificare il suo utilizzo con riprese che necessitino pesantemente dell’aiuto di uno strumento in grado di stabilizzare la camera.
Dati le sue dimensioni, il suo peso e il suo ingombro, ho sempre trovato difficile e frustrante utilizzare il Ronin in spazi angusti e questo perché, per quanto possa essere “morbido” un gimbal non è in grado di replicare la naturalezza del movimento handheld e, perciò, lo spettatore percepirà la meccanicità di certi movimenti e il fatto che siano generati dallo scattare di un motore piuttosto che dal naturale tremolio di una mano.
D’altro canto, nelle situazioni all’aperto, quelle sportive, quelle d’azione, quelle riassumibili con l’epiteto di run ’n gun, il Ronin diventa uno strumento sublime, imprescindibile e, come le Gocciole, capace di svoltare la giornata da così a così. È sorprendente il potere di un aggeggio come questo di rendere una corsa a perdifiato stabile, un camera car fluido e una camminata cinematografica. Senza parlare, poi, della naturalezza quasi televisiva che riesce a conferire alle inquadrature di eventi live e/o cerimonie.
È una croce e una delizia e, per tornare alla praticità, deve essere studiato e amato per poter rendere al meglio.
Ora, recentemente è uscito il nuovo modello e quindi facciamoci la solita domanda: ma vale la pena comprarlo adesso?
Credo che la risposta sia no. Non fraintendetemi, si tratta di un apparecchio sublime se messo nelle condizioni giuste e se usato con sapiente misura e conoscenza delle sue possibilità, tra le quali le molte funzioni attivabile tramite l’app di DJI - che non utilizzerete mai fino a quando non vi renderete conto di averne bisogno per una ripresa del tutto particolare e situazionale per poi dimenticarvene ancora. Semplicemente, il suo design, che pure ha insegnato come costruire un gimbal user friendly, è stato superato e i suoi piccoli grandi difetti che - a mio personalissimo parere - minano l’esperienza di utilizzo, sono stati corretti dai competitor e dalla stessa DJI. L’avvento di fotocamere mirrorless leggere e compatte ha reso inutile progettare gimbal capaci di caricare così tanto peso e, se è vero che questo payload così generoso permette di bilanciare anche corpose videocamere cinematografiche, è altrettanto vero che se siete in possesso del budget per permettervi un corpo cine, allora potrete anche permettervi qualcosa di più stabile e professionale per sorreggere la vostra costosa attrezzatura.
Ha fatto scuola, nonno Ronin S, e all’alba della nascita del suo successore spirituale, è giusto ammettere che l’acquisto di un “S” non sia più la mossa migliore. Tuttavia, se avrete la possibilità di usarlo, ve ne innamorerete perché la sua stabilità puzza terribilmente di cinema. E noi videomaker siamo tutti uguali nel profondo: piccole persone che altro non sognano se non un po’ del cinema dei grandi.