Le lenti cinematografiche sono un po’ un mito nel mondo del videomaking. Molti le vedono come un sogno, altri come aggeggi troppo costosi, qualcuno non capisce la differenza che intercorre tra le lenti di fotografiche e quelle con il marchio “CINE”, altri ancora si domandano cosa sia un “T” e perché non si chiami “F”. Fino a quando non si mettono le proprie mani su una di queste bestie rare è difficile dare una risposta a tutti questi quesiti. Tale mancanza di certezze è aumentata dal fatto che, complici costo e difficoltà d’uso, quasi nessuno parli apertamente di questi obiettivi, perché fa poche visualizzazioni sui social media, data la fascia di pubblico ristretta interessata all’argomento. Tuttavia, qui a Techinblack, l’idea è di andare controcorrente, intercettando il lettore curioso e alla ricerca di risposte: parliamo un po’ di lenti cine. Parliamo della Xeen 24mm T/1.5.
Prima di tutto: cos’è Xeen. Xeen è il nome del reparto cinematografico di fascia medio-alta di casa Samyang. Il brand cinese, infatti, oltre a produrre ottiche adatte a praticamente tutti i mount - e caratterizzate da un prezzo solitamente (ma non sempre) competitivo rispetto a quello di altri producer -, è inserito anche nel mercato delle lenti cinematografiche, il quale è leggermente complicato. Per capirne il funzionamento, bisogna innanzitutto accettare i prezzi di tali strumenti, i quali sono i più disparati. Si parte da una manciata di migliaia di euro e si arriva a qualche decina di migliaia e questa forbice di prezzi ampissima, permette di avere lenti cinematografiche intorno ai 600 euro così come sopra i 100.000. La difficoltà sta nel discernere la qualità dal prezzo, cosa che solo chi ha potuto testare con mano molte di queste lenti è in grado di fare. Il sottoscritto non può esservi d’aiuto in questo caso, data l’esperienza limitata e limitante. Quindi, partiamo da questo presupposto, Xeen produce ottiche che, all’interno del mercato cinematografico, sono di fascia medio-bassa, quasi prosumer, per così dire. Dato il contesto, la domanda che inevitabilmente sorge al filmmaker curioso è: cosa differenzia le lenti cinematografiche da quelle fotografiche? Tecnicamente, quasi nulla. Praticamente, un oceano di differenze.
Primo: non c’è elettronica. Le lenti cinematografiche non hanno componenti elettroniche, non comunicano direttamente con la cinepresa alla quale sono montare e, sostanzialmente sono pezzi di metallo e vetro che si frappongono tra soggetto e sensore. Ciò significa che ogni regolazione, viene effettuata manualmente da esperti artigiani dell’esposizione e della messa a fuoco.
Secondo: il diaframma è fluido. Nella stragrande maggioranza delle lenti tradizionali, la ghiera del diaframma si chiude con dei caratteristici “step” rappresentati dai vari valori che può assumere “F” e accompagnati da uno scatto secco, il quale nelle lenti più vecchie e manuali era pure assistito dal famigliare “click” della ghiera. Gli obiettivi cinematografici, invece, hanno una conformazione delle lamelle del diaframma e un meccanismo di chiusura che elimina completamente scatti e click di sorta. Ciò permette di regolare l’apertura del diaframma come fosse la messa a fuoco, ovvero in maniera fluida e impercettibile per lo spettatore, il che garantisce ai direttori della fotografia e agli operatori di macchina di passare attraverso ambienti illuminati in modo diverso senza che l’esposizione ne risenta e senza che lo spettatore venga infastidito in alcun modo.
Per capire quanto questa semplice differenza sia abissale, provate a fare questo esperimento. Prendete la vostra macchina fotografica di fiducia, selezionate la modalità video, impostate un frame rate di 24fps e uno shutter speed di 1/50 di secondo. Ora esponete, regolando apertura del diaframma e ISO, una stanza qualsiasi della vostra casa e del vostro studio. Avviate la registrazione. Ora, provate ad inquadrare qualcosa fuori dalla finestra, provando a esporla correttamente. Ovviamente, non potete cambiare il valore degli ISO, né lo shutter speed; l’unica cosa modificabile in corso d’opera è l’apertura del diaframma. Modificatela fino ad ottenere il valore adatto ad una esposizione decente. Riguardando la clip, noterete che il passaggio da ambiente interno ad esterno sarà accompagnato dagli step della regolazione del diaframma che non sono solo poco gradevoli alla vista ma svelano anche la magia allo spettatore. Con una lente cinematografica, tutto questo non accadrebbe e questa caratteristica peculiare di questi strumenti dà ai cineasti molte possibilità creative in fase di ripresa.
Terzo: il valore di misura dell’apertura del diaframma è “T” e non “F”. Sulle lenti tradizionali siamo abituati a leggere “F/xyz” e il valore di F corrisponde alla massima apertura raggiungibile da quella lente e quindi alla massima quantità di luce che può colpire il sensore. “T” indica la stessa identica cosa. Vi chiederete quindi, dove sia la differenza. Ebbene, il tutto si riduce ad un sistema condiviso. Infatti, mentre ogni brand determina autonomamente il valore di “F” delle sue lenti, “T” è un’unità di misura universale e condivisa, la quale garantisce che non ci siano variazioni nemmeno minime tra le varie lenti, anche se di produttori diversi. T/2.0 sarà sempre T/2.0, a prescindere da modello, marca, e focale della lente. Con ciò non voglio dire che i valori di “F” siano poco affidabili, anzi tutt’altro, semplicemente bisogna chiarire questa differenza di misurazione, la quale è alla base della scientificità del valore ”T”.
In ultimo, la costruzione. Gli obiettivi cinematografici sono solitamente in metallo, sono pesanti, resistenti, e hanno ghiere, dentellature, zigrinature adatte a poter utilizzare follow focus. Fatta questa doverosa introduzione al mondo delle lenti cine, è giunto, finalmente il momento di parlare della Xeen 24mm T/1.5 che ho potuto provare ed utilizzare sul set di un cortometraggio girato recentemente. Il primo impatto è straniante. È una lente grossa, pesante che trasuda solidità ma al contempo ti fa temere per la sua incolumità ogni volta che la si prende in mano. Si tratta di oggetti che meritano attenzione, che la richiedono e che devono sempre essere alloggiati nel modo giusto e riparati da eventuali danni accidentali. Pare un’ovvietà ma nella frenesia del set questo non è del tutto scontato. La costruzione è soddisfacente sotto ogni punto di vista. Le zigrinature sono solide e ben in rilievo, le ghiere di regolazione sono fluide, le scritte sono ben leggibili e chiare e le indicazioni sono precise. Trattasi di una lente molto luminosa che permette di gestire bene anche situazioni di scarsa illuminazione e che garantisce un buono sfocato.
Parlando di sfocato, forse questo è l’aspetto che meno mi ha entusiasmato. A T/1.5 la profondità di campo si fa sentire, tanto che pure una lente grandangolare garantisce un buono stacco del soggetto dallo sfondo. Tuttavia, il bokeh non mi ha fatto gridare al miracolo; l’ho trovato poco omogeneo e poco tondeggiante. Inoltre, non mi hanno fatto impazzire nemmeno i lens flare, ma forse è solo perché non sono abituato ad interagire con una lente simile. A livello di utilizzo, i fattori elencati poco sopra, rappresentano una notevole differenza: la messa a fuoco è precisa e affidabile, la lente è nitida, le ghiere sono fluide al punto giusto ma non tradiscono con micro-movimenti o spostamenti una volta posizionate. Reputo la resa cromatica e la “pasta” di questa lente assolutamente soddisfacenti e apprezzabili, sia in situazioni illuminate, sia in situazioni di scarsa illuminazione. Globalmente mi è sembrata una lente affidabile, solita e capace di essere versatile sul set.
Venendo alla questione pecuniaria, però, bisogna dire che non solo non la comprerei, non la consiglio nemmeno. È troppo complessa da gestire per chi adotta uno stile run and gun e per il videomaker classico, quello che si destreggia tra eventi, spot e qualche cortometraggio. Sicuramente, è uno strumento che ben si sposa con il professionista che punta alla realizzazione qualitativamente alta di pochi prodotti per volta e ben definiti per genere e budget. Non è una lente per novizi, non è una lente per fotografi, non è una lente per coloro che devono presentarsi in casa di una sposa o alla registrazione di un concerto. Se l’acquisto non è una cosa che mi sento di consigliare, il noleggio è tutt’altro discorso. In breve, se avete budget, questa linea della Xeen potrebbe essere un ottimo asso nella manica per ogni produzione che voglia una resa solida e appagante per l’occhio. La produzione che gestiva il set sul quale l’ho utilizzata, infatti, l’ha noleggiata per il giubilo del direttore della fotografia, ovvero il sottoscritto.
È bella e piacevole da usare ma non ha fatto realmente breccia nel mio cuore, per quanto non veda l’ora di poter riutilizzare uno strumento del genere. Noleggiare una Ferrari per un giorno è bellissimo; costa, certo, ma ti fa provare il brivido della corsa. Prima di salire in macchina, sei pieno di entusiasmo e di emozioni, pregusti la bellezza del percorso e l’adrenalina della velocità. Poi, però, scopri che il set up rigido ti fa sentire ogni cunetta, che la macchina beve come un cammello assetato, che la posizione di guida non ti piace, che il motore centrale non ti fa vedere dietro, che non c’è bagagliaio e che è talmente larga che non entra nei vicoli stretti. Certo, in pista non desideri altro, ma sei contento di non doverla portare a casa, non fa per te, se non hai budget e tempo da dedicarle. Questa Xeen è uguale: sul set è favolosa ma per il resto è letteralmente un peso. L’avventura di Techinblack con le lenti cinematografiche non finisce qui, dato che prossimamente arriverà la recensione di un’alternativa economica che potrebbe valere la spesa e dare un senso a tutte queste meravigliose caratteristiche anche in un contesto prosumer.